Per capire come una pianificazione può fallire, dovremmo esplorare le vulnerabilità di tre elementi: database di lavoro, operazioni mentali e strutture di conoscenze apprese
Sono davvero poche le nostre decisioni, sia quelle piccole quasi insignificanti che prendiamo quotidianamente e ripetutamente, ma ancora di più, quelle veramente importanti che si prendono poche volte nella vita e che possono avere conseguenze rilevantissime, che emergono da un processo non pianificato.
Quasi sempre, cioè, le nostre scelte arrivano come esito di varie altre operazioni preliminari, di un vero e proprio piano d’azione a cui spesso ci siamo applicati con impegno, ma che può anche scaturire automaticamente sulla base dell’esperienza passata. Quando le cose vanno storte, però, quando le nostre decisioni non producono gli esiti desiderati o, al peggio, determinano esiti catastrofici, raramente mettiamo in discussione la qualità del piano, piuttosto ci concentriamo sulla scadente o mancata esecuzione di alcune delle azioni che il piano prevedeva.
In altre parole, quando commettiamo un errore, nella maggior parte dei casi lo classifichiamo come un errore di esecuzione, tralasciando la possibilità che invece si sia trattato di un errore di pianificazione.
I tre fattori della pianificazione
Questo, naturalmente, offusca i veri motivi che ci hanno portato fuori strada e ci impedisce di apprendere dai nostri sbagli. Il processo di pianificazione delle decisioni non è da intendersi solamente in termini formali – un piano dettagliato, ragionato, formalizzato ed esplicito – spesso tale piano ha origine quasi istantaneamente attingendo a risorse che la nostra mente mette prontamente a disposizione dei nostri fini.
Questo genere di pianificazione dell’azione si articola, secondo una nota classificazione, in tre componenti principali: un database di lavoro, le operazioni mentali e le strutture di conoscenze apprese che conserviamo nella nostra memoria.
Nel database di lavoro vengono conservate le informazioni immediatamente rilevanti per la decisione che stiamo elaborando; informazioni che abbiamo appositamente recuperato nella nostra memoria o, più frequentemente, che abbiamo derivato dalla situazione contestuale nella quale ci troviamo.
Le operazioni mentali riguardano, invece, la selezione delle informazioni più rilevanti, la definizione degli obiettivi da raggiungere, la valutazione di percorsi alternativi per il raggiungimento di quegli stessi obiettivi e la identificazione del percorso ottimale.
Infine, le conoscenze apprese contribuiscono ad ognuna delle altre fasi, rendendo disponibili schemi di ragionamento e ricordi nei quali emergono nessi causali tra azioni e conseguenze, già esplorati nel passato, con tutto il carico emotivo legato agli esiti positivi o negativi di quelle passate decisioni.
Per capire in che modo il processo di pianificazione può fallire, allora, dovremmo predisporci ad esplorare le vulnerabilità connesse a ciascuno di questi tre elementi. La memoria di lavoro, per esempio, difficilmente sarà in grado di utilizzare tutte le variabili che teoricamente sarebbe necessario prendere in considerazione in una decisione ottimale. Tendenzialmente utilizzerà quelle che si sono rivelate più utili nel passato, rendendoci in questo modo meno capaci di affrontare efficacemente le novità, e quelle, in particolare, che hanno portato a decisioni di successo piuttosto che a fallimenti, rendendo più complicato, in questo modo, attivare contromisure appropriate.